RED-LIVE.IT 20-01-2022

Sezione: WEB
Jack Lucchetti, la vita randagia di un pilota animalista

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Unire mondi apparentemente incompatibili come quelli delle moto e degli animali si può. Lo dimostra il pilota Giacomo Lucchetti, duetempista convinto, che ha dato vita al primo motoclub animalista italiano con l’intento di portare aiuti ai quattrozampe in difficoltà e diffondere un messaggio antispecista gareggiando con una tuta vegan
«La bontà umana, in tutta la sua purezza e libertà, può venir fuori solo quando è rivolta verso chi non ha nessun potere. La vera prova morale dell’umanità, quella fondamentale, è rappresentata dall’atteggiamento verso chi è sottoposto al suo dominio: gli animali. E sul rispetto nei confronti degli animali, l’umanità ha combinato una catastrofe, un disastro così grave che tutti gli altri ne scaturiscono». Mena duro Milan Kundera, quando descrive il dominio che l’uomo esercita sugli animali, quel potere che, in nome del profitto, ha portato la nostra specie a soggiogare tutte le altre, e che oggi sappiamo essere anche causa di  un irresponsabile e non sostenibile sviluppo infinito su di un pianeta dalle risorse limitate. 
Se, fino a qualche tempo fa, di tematiche come queste non si parlava molto, oggi siamo tutti consapevoli di quale sorte tocchi agli animali cosiddetti da reddito, e dove vengano tenuti quelli domestici che non hanno una famiglia. Nei confronti degli uni e degli altri, ognuno di noi ha sviluppato una sensibilità diversa e agisce – o non agisce – secondo la propria coscienza.
Uno che se l’è presa a cuore è Giacomo Lucchetti, che di professione fa il pilota, e che ha trovato il modo di mettere la sua passione per le moto al servizio degli animali. Voluminosi capelli arruffati e accento marchigiano, Jack è un fiume in piena quando parla di questi due mondi diversi, che lui ha saputo unire per portare un messaggio di compassione e amore tra l’asfalto dei cordoli. Al suo fianco, immancabile, c’è Juliet, la cagnolina che ha adottato – e che considera una figlia – che lo accompagna anche nelle missioni che Jack svolge in soccorso degli animali bisognosi, e spesso invisibili, che riempiono i canili del Sud Italia.
Giacomo Lucchetti con Juliet durante una pausa del viaggio per raggiungere i canili.
In che campionato corri?
«Sono da sempre un duetempista, e il mio programma quest’anno è di riuscire a correre la 2T Italian GP con l’Aprilia 250. Inoltre, sto lavorando per partecipare alla Pirelli Cup o la National Trophy con la Suter 500, poiché il regolamento della 1000 è open, quindi aperto anche a moto a due tempi. Sarebbe straordinario, perché saremmo gli unici al mondo a scendere in pista con questa moto, ma attualmente non siamo pronti a livello economico».
Hai cominciato a correre da piccolo o quando te lo sei potuto permettere economicamente?
«Avevo un babbo fantastico e molto intraprendente. Nel 1983 trovò un motorino Minarelli in una scarpata a Santa Maria delle Fabbrecce e, segandolo qua e là, mi ha costruito la prima minimoto con la carenatura comprata qui a Pesaro al negozio di Paolo Campanelli, e verniciata tutta Marlboro con il numero 4 di Kenny Roberts. Quindi, ho iniziato a far girare le prime ruote intorno ai cinque-sei anni, per poi passare alle corse vere e proprie a 13 con la minimoto. È stato un periodo bellissimo, con Valentino Rossi e gli altri piloti dell’epoca. In generale, però, ho praticato molto poco il motociclismo perché, da persone un po’ ingenue come eravamo, abbiamo perso il treno nel 1993, quando ero ufficiale alla Polini e mi era stato proposto di correre con gli scooter, ma a casa avevamo già un 125 SP per cui sbavavo, rivelatosi però troppo vecchio, al punto che l’anno seguente non fu più omologato per correre. Poi io ho ripreso in mano tutto quando, crescendo, ho iniziato a capire come funzionavano le cose e, oggi, è diventata una professione che mi impegna tutto il tempo».
Anche prima dell’arrivo della tuta vegan, Lucchetti scendeva in pista sostenendo la causa animalista.
Adesso come vanno le cose?
«Oggi mi muovo come un team ufficiale. Ho costituito Cuori in Corsa , il primo motoclub animalista d’Italia, gestisco gli sponsor e porto avanti tutte le attività, dalle missioni animaliste ai motoraduni, e tengo molto a presentarmi in modo professionale per valorizzare i brand delle aziende che ci sostengono. In generale, ho sempre vissuto le moto al limite. Nel 2008, quando siamo arrivati secondi all’Europeo, partivo a notte fonda da Pesaro per raggiungere il mio tecnico al Reparto Corse di Perugia e poi via col furgone in Spagna, Svezia, Polonia, Croazia, Portogallo».
Fai anche off road?
«Mi piacerebbe molto! Però mi manca il tempo perché sto dando tutto me stesso nel progetto. Pensa che a casa ho una Honda CR 125 2T comprata nel 2007 – l’ultima 125 2T che ha fatto la Honda, la moto più bella del mondo! – e ci ho girato tre volte, è lì sotto la coperta! Ma, se quest’anno tutto si concretizzerà, magari prendo una GasGas o una KTM. L’off road mi ha sempre affascinato, ero tifoso di Alex Puzar. Sono del ’76, abbastanza grandino, però mi piacerebbe molto riprendere da amatore»
Che cosa pensi del divieto di praticare fuoristrada? Quanti danni fa all’ambiente e alla fauna selvatica il passaggio di questi mezzi? Qual è la tua posizione in merito?
«Il passaggio delle moto all’interno di un ambiente in cui, specialmente in primavera, gli animali si riproducono non è positivo. Credo, però, che il modo per praticare il fuoristrada senza impattare troppo sull’ambiente e la fauna selvatica ci sia. In ogni provincia esistono siti in cui sarebbe semplice creare dei percorsi per gli appassionati, praticamente a costo zero. Basterebbe una maggiore attenzione da parte delle amministrazioni locali».
Sei uno dei primi piloti a correre con una tuta vegan. Dacci qualche informazione sul prodotto.
«La tuta è realizzata da Virus Power , azienda del gruppo Primatex di Prato, e veste già parecchi piloti. È un prodotto dalle qualità tecniche, di sicurezza e comfort straordinarie, che ha ricevuto la tripla A. Un’innovazione tecnologica incredibile, che spero possa davvero rivoluzionare un ambiente da sempre legato alla sofferenza degli animali . Tutti noi, infatti, tendiamo a dimenticare o a non interessarci del profondo dolore e della sofferenza di creature come vitelli e canguri, che vengono sacrificati per soddisfare le passioni (e non mi riferisco solo alle moto) della razza umana. Sono stato fermo cinque anni per questioni economiche, ma onestamente non sarei mai potuto rientrare nelle corse “vestendomi di un cadavere”, come un giorno mi disse – giustamente – un componente della LAV . Grazie a questa soluzione sono tornato in pista nel 2021, anche se purtroppo mi sono mosso in ritardo e la tuta non è arrivata in tempo per la gara di Misano. Ho dovuto, quindi, riutilizzare la vecchia tuta di oltre dieci anni con le pezze al culo, rischiando parecchio qualora avessi grattato le chiappe per terra, pur di non comprarne una nuova. Ne ho parlato anche sui social, dove alcune persone mi hanno attaccato senza essere davvero informate. Sono sicuro che la tecnologia sviluppata per l’abbigliamento moto cruelty-free sia un primo passo verso un cambiamento etico: oggi non manca niente a livello di materiali, ma ancora si specula sulla vita degli animali».
Se non esistesse l’alternativa della tuta vegan, correresti comunque in moto?
«Smetterei di correre e chiuderei con il motociclismo pur di non utilizzare o acquistare una nuova tuta di pelle. Una scelta che ho maturato nel corso del tempo, perché ho capito che non si può abusare della vita di altri esseri viventi, specialmente per soddisfare egoistiche passioni personali. Anch’io ho utilizzato tute in pelle, ma è stato fondamentale aver preso coscienza di questa realtà e aver dato un taglio netto col passato».
Juliet, la cagnolina adottata da lucchetti, nel box prima di una gara.
Hai mai perso sponsor o occasioni importanti per non venire meno ai tuoi principi?
«Sì, in particolare tre anni fa, quando avevo trovato una grossa sponsorizzazione da parte di un’azienda della Valtellina che mi avrebbe risolto una stagione e mezza. Il problema è che produceva speck… Malgrado le corse siano la mia vita e la mia professione, ho rifiutato senza pensarci un attimo, rischiando anche di compromettere l’amicizia con la persona che me l’aveva procurata, perché non comprendeva le mie ragioni». 
Quali compromessi hai dovuto accettare, invece?
«Onestamente, nessuno. Sono sempre stato abbastanza coerente anche in tempi non sospetti, quando la sensibilizzazione animalista da parte dell’opinione pubblica non era ancora emersa. Mi sono sempre rivolto ad aziende pseudo-etiche, perché, in fin dei conti, neanche la benzina che dobbiamo utilizzare è etica».
Jack e Juliet con la tuta vegan.
Che cosa ti ha spinto a fare una scelta vegan e come è successo?
«Sono nato tra la Honda 500 Four del mio babbo e la cuccia del cane, si può dire che il mio futuro era già scritto! Ma, se quella per le moto è una passione, quello per gli animali è puro amore. Per me innanzitutto vengono loro, le moto sono soltanto un mezzo per poterli aiutare, perché attraverso di esse posso avere una visibilità diversa, avvicinare delle fasce di persone amanti delle due ruote ma magari non attente alla questione animalista. L’attenzione verso gli animali è cresciuta con me, e ricordo bene quando, da piccolo, mentre insieme con i miei genitori percorrevo chilometri in autostrada per raggiungere le piste di minimoto, vedevo i camion carichi di animali destinati al macello che viaggiavano per tantissime ore in condizioni terribili ed esposti alle intemperie, e mi sono cominciate a scattare delle molle in testa che, una volta cresciuto, mi hanno portato a smettere di mangiare carne. È successo all’improvviso nel 1998, con la disperazione della mia amata nonna, regina nella preparazione di cappelletti, tagliatelle, lasagne e tutta la cucina casalinga, che non poteva credere a una cosa del genere!».
Da quanto tempo sei attivo nel portare aiuti nei rifugi e come si svolgono le tue missioni?
«Tutto è nato dopo il terremoto del Centro Italia del 2016, e la prima missione si è svolta il 6 gennaio 2017 ad Accumuli con l’intento di aiutare animali che si trovavano allo sbando dopo la tragedia. Da lì si è sparsa la voce e sono arrivati degli aiuti alimentari da parte di varie aziende e, ad oggi, sono state compiute 43 missioni di soccorso. Inizialmente organizzavo delle raccolte di cibo, poi alcune aziende di petfood hanno visto la trasparenza del progetto e hanno iniziato a fornire i loro prodotti. Inoltre io tolgo parte del budget che mi serve per correre per l’acquisto dei croccantini. Le trasferte sono un po’ pesanti: parto a notte fonda in sella a Pony, il mio furgoncino del 1994, talmente carico che gli si piegano le lamiere, e raggiungo soprattutto le località del sud, dove purtroppo la situazione di canili e rifugi è molto difficile. Come me c’è sempre Juliet, la cagnolina che ho adottato cinque anni fa durante la seconda missione che ho svolto, al Canile Santo Stefano di Campobasso, che dorme appoggiata sulla mia gamba. Noi abbiamo la nostra routine, ci fermiamo per la pappa e per la pisciatina. È una compagna meravigliosa che, come tutti gli animali, non chiede niente e dona tantissimo».
Rispetto a un tempo, hai notato differenze nella gestione di rifugi e canili?
«Molto poche, anzi, certe gestioni da parte di personaggi senza scrupoli peggiorano, tra sovraffollamento e animali tenuti in condizioni di denutrizione, al fine di intascarsi la sovvenzione giornaliera. Prima o poi riuscirò a documentare queste cose. Per contro, posso dire di aver conosciuto tanti straordinari volontari che dedicano la propria esistenza a queste povere creature. Tra l’altro a marzo partirò da Milano per una serie di missioni in collaborazione con il Lions Club International – Distretto 108 IB4 Milano, grazie al quale attraverserò l’Italia toccando tutti i distretti Lions fino a Ragusa, naturalmente insieme con Juliet».
Lucchetti incontra i cani ospiti dei rifugi durante una delle sue missioni di soccorso.
Qual è il più grande pregiudizio nei confronti dei vegani?
«Che non siamo normali, perché secondo la gente l’uomo è nato carnivoro. Invece, come sosteneva il professor Umberto Veronesi , il nostro intestino non è come quello degli animali predatori, bensì è più adatto a una dieta vegetale. Un cambiamento radicale nell’alimentazione non avverrà facilmente perché sotto ci sono troppi interessi economici, oltre all’egoismo di chi non vuole modificare le proprie abitudini sebbene, oltre a provocare sofferenza negli animali, gli allevamenti e lo sfruttamento intensivi rientrino tra le principali cause del riscaldamento globale e della perdita di biodiversità. E si rifiutano persino di vedere le immagini degli allevamenti intensivi e di come vengono prodotti gli alimenti che consumano. Io verso queste persone cerco di essere, per quanto possibile, diplomatico, perché ho capito che un approccio più diretto sarebbe controproducente e creerebbe ulteriore attrito. Al contrario, però, loro non riservano lo stesso trattamento verso noi vegani».
Nell’ambiente dei motori la tua scelta etica come è stata accolta?
(Ride sconsolato) «Alcuni mi dicono “bravo”, ma poi fanno commenti sarcastici alle mie spalle. Io sono la formica in mezzo alla farina che annaspa. Nel 2021 ho fatto soltanto due gare, quindi non sono riuscito a impostare una vera e propria comunicazione, invece quest’anno credo che il programma sarà molto interessante e potrà stimolare la curiosità di molti. Comunque, almeno finora, non è che grazie a me qualcuno la sera abbia rinunciato a mangiare la bistecca al Mugello eh, anzi! (ride) ancora non ci siamo arrivati».
Nel 2015 le licenze di caccia erano 775mila. Secondo la LAC , Lega per l’Abolizione della Caccia, di recente il numero dei cacciatori è sceso sotto i 470mila. Meno delle firme necessarie a chiedere il referendum per la sua abolizione. Come ti spieghi il recente fallimento della proposta di referendum , per cui ti sei speso?
«Semplicissimo, hanno annullato tutte le firme necessarie per non farlo passare, benché ci fossero, come mi hanno confermato dal direttivo. L’attività venatoria continuerà a esistere, purtroppo, perché è troppo grande l’interesse da parte delle lobby delle armi che portano soldi alle istituzioni. C’era da aspettarselo, non prendiamoci in giro. Io appoggerò sempre anche le iniziative future, ma le cose difficilmente cambieranno».
Giacomo accolto dalle volontarie di un canile del Molise, dove ha portato aiuti alimentari.
Che cosa pensi dei partiti animalisti: è giusto credere al loro impegno in favore di un cambiamento verso i diritti degli animali, o alla fine la classe politica è tutta uguale?
«È un po’ difficile da dire. All’interno di ogni nucleo c’è chi ci crede molto e chi, invece, ci crede fino a quando gli può far comodo. Comunque è bene che esistano questi movimenti, perché fanno sì che se ne parli e che il messaggio arrivi. Da lì a far cambiare le cose è dura, ma nel corso del tempo qualche battaglia è stata vinta».
Perché le grandi associazioni animaliste non hanno appoggiato il referendum per l’abolizione della caccia?
«La vera ragione non la conosco, ma ho constatato che più sono grandi, più crescono i paradossi. Non escludo interessi economici. Credo molto, però, nell’operato di diverse associazioni tra cui Animalisti Italiani Onlus, che patrocinerà il mio nuovo spot tv a sostegno delle adozioni nei rifugi che andrà in onda dal 20 al 26 febbraio sulle reti Mediaset, dove ci sarà anche Juliet. Sono sempre più convinto che aiutare gli animali equivalga a migliorare lo stato sociale».
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