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Quando l’oratorio di San Sebastiano era un’officina meccanica - Blog

A cura di Piero Ghetti
Quando l’oratorio di San Sebastiano era un’officina meccanica
A partire dal 1860, con la definitiva chiusura al culto disposta dallo Stato Unitario italiano, l’Oratorio di San Sebastiano è caduto in un degrado secolare, assolvendo a molteplici funzioni strumentali, quali magazzino del fieno, officina meccanica e deposito vernici (durante la guerra fu persino cucina delle truppe alleate). Dopo il restauro, concluso nel 1982, è adibito a sala per esposizione d’arte
Piero Ghetti 24 gennaio 2022 07:30
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L’Oratorio di San Sebastiano, a due passi dal complesso museale del San Domenico, è forse l’edificio cittadino che meglio esprime la cultura tecnico-artistica di Melozzo degli Ambrogi. Sorse a partire dal 1494 su progetto di Pace Bombace (1440-1500), “maestro recamadore”, come annota il cronista Novacula, appartenuto alla “brigada” del genio rinascimentale nativo di Forlì. Il Bombace, autore nel 1490 anche della cupola della Cappella del Santissimo Sacramento posta in Cattedrale, elaborò un modello architettonico che cominciò a concretizzarsi nel 1500. I lavori si conclusero nell’aprile 1502, due anni dopo la sua morte. A testimoniarlo è un’iscrizione posta nella volta absidale: “Io Ieronimo de Ginoco fece fare adi primo d’aprilo 1502”.
“Fu costruito – scrive Ettore Casadei nella celeberrima guida “Forlì e dintorni” – sul luogo medesimo dove anticamente sorgeva un’altra chiesa dedicata allo stesso santo, con l’annesso ospedale già appartenente alla Confraternita dei Battuti Bianchi”. “San Sebastiano – riportano Gabriele Zelli e Marco Viroli nella prefazione del testo con la storia del restauro dell’edificio, edito dai Lions Club Forlì Host nel 1972 e ripubblicato nel 2017 - fu realizzato in laterizio con uno stile rinascimentale di tipo brunelleschiano e albertiano; presenta una pianta a croce greca, con un atrio coperto da una cupola. Il corpo centrale doveva essere coronato da una cupola, che però non fu mai realizzata. L’aspetto interno è caratterizzato dalla dicromia dell’intonaco chiaro e delle decorazioni in cotto che si sovrappongono agli elementi strutturali. E’ qui visibile in parte la struttura gotica preesistente, che ha determinato uno sfalsamento dell’ingresso rispetto al corpo centrale, con un incastro irregolare del tamburo di coronamento. All’interno si conservano lacerti di una decorazione affrescata”.
Prima della trasformazione rinascimentale, l’edificio fu sede dei Battuti Bianchi, ma anche degli ortolani, confraternita molto influente a Forlì vista la straordinaria diffusione degli orti interni alla cerchia delle mura difensive cittadine. Un manoscritto conservato nella Biblioteca Comunale, datato 1797, ci descrive in modo dettagliato l'ambiente interno dell’oratorio di San Sebastiano prima della soppressione napoleonica: “Entrando in chiesa vedasi l'Apparizione di Maria dipinta dal Marchetti. Segue nella vicina Cappella il quadro rappresentante l'Apparizione di Cristo alla Maddalena. All'altare maggiore si ha il quadro del Modigliani, che rappresenta una Beata Vergine Addolorata con San Sebastiano ed altro Santo. Succedono altri due altari, in uno dei quali esiste un Crocifisso, e nell'altro un San Sebastiano Martire, ambedue di fattura di ignoti autori”. Con la Restaurazione del 1815 generata dal Congresso di Vienna, l’oratorio ritornò ad essere officiato. A partire dal 1860, con l’avvento dello Stato Unitario italiano sotto l’egida della casa regnante dei Savoia, fu chiuso definitivamente al culto per “adattarlo a magazzino del fieno – precisa Egidio Calzini in un saggio dedicato alla chiesa - quando era di proprietà del conte Livio Dall’Aste”.
E’ molto probabile che questa nuova (non esaltante) funzione fosse strumentale alla vicina chiesa di San Giacomo Apostolo dei Domenicani, adibita a stalla della cavalleria in seguito alla soppressione dell’intero convento, divenuto caserma dell’Esercito. Negli anni Venti del XX secolo il Casadei lamenta le difficili condizioni dell’ex oratorio, divenuto sede di attività artigianale: “I conti Dall’Aste lo vendettero ad altro privato, che la ridusse ad officina meccanica”. Subito dopo la Liberazione fu persino cucina per le truppe alleate, per poi ritrovarsi deposito di vernici negli anni 50. Nel 1968, “per lascito ereditario di Righini Bruno o Giordano Bruno, nato a Forlì il 14 giugno 1889, residente in Corso Garibaldi 18, agricoltore”, l’oratorio giunse in proprietà dell'Amministrazione comunale di Forlì.
“Il suo recupero architettonico – scrivono ancora Zelli e Viroli - fu fortemente sostenuto dal Lions Club Forlì Host quando nel 1972 ne propose il restauro, perché era in condizioni miserevoli per il prolungato abbandono. Il monumento fu inserito nei programmi triennali di restauro redatti dalla Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici di Ravenna. Pervenuti i necessari finanziamenti dal Ministero, i lavori iniziarono nel 1978 protraendosi fino al 1982, per un costo complessivo di 45 milioni di lire”. Tra la fine del 1985 e l'inizio del 1986, grazie all’impegno di Zelli all’epoca assessore comunale alla cultura, San Sebastiano è stato dotato anche di un moderno impianto di riscaldamento a pavimento. Attualmente è adibito a sala per esposizioni d'arte. 
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