ESTENSE.COM 27-04-2022

Sezione: WEB
Dal caso Palamara alla sperazione delle carriere: i nodi della giustizia secondo Scati

Dal caso Palamara alla sperazione delle carriere: i nodi della giustizia secondo Scati
Il presidente del Tribunale di Ferrara ospite dell'incontro di martedì sera organizzato dal lions club
di Lucia Bianchini
La perdita di credibilità della magistratura, i tempi della giustizia, la separazione delle carriere tra magistrati giudicanti e magistrati del pubblico ministero, la responsabilità dei magistrati. Sono i temi trattati da Stefano Scati, presidente del Tribunale di Ferrara, nell’incontro di martedì sera organizzato dal lions club nella sede di via Vespargolo.
Scati inizia il suo intervento citando un sondaggio del Corriere della Sera, da cui si desume che la magistratura italiana ha accusato una perdita di credibilità vertiginosa: “Nel sondaggio si dava atto che ai tempi di Mani Pulite, quando i magistrati erano ingiustamente ritenuti eroi, 9 cittadini su 10 avevano fiducia nella giustizia, nel 2010 erano 6 su 10, oggi 3 su 10”.
“Noi magistrati – prosegue – dobbiamo fare ammenda per il caso Palamara che ha evidenziato come procedure che dovrebbero essere regolate sul merito erano invece regolate da logiche spartitorie. È stato uno scandalo grave, rispetto cui non posso non evidenziare che è stato strumentalizzato da chi voleva chiudere il conto con la magistratura aperto con Mani Pulite, quando la magistratura sottopose a procedimenti penali la classe politica dell’epoca”.
Imputato alla magistratura, che a detta del presidente ne è però colpevole solo in parte, è la lunghezza della giustizia in Italia: “Una serie di riforme ha notevolmente migliorato i tempi della giustizia, fermo restando che questi sono influenzati dal numero degli avvocati, che in Italia sono 260 mila, quindi anche la causa più stupida viene patrocinata, e che in Italia siamo super garantisti. Garantismo ed efficienza è un binomio che non sempre si coniuga”. “Il tribunale di Ferrara – come specifica il presidente- è al primo posto per la brevità dell’evasione dei processi, grazie alla bravura di colleghi e funzionari, grazie al fatto che gli organici sono coperti. Se il codice di procedura civile concede di smaltire le cause in breve tempo non va cambiato il codice, ma aumentato l’organico dei tribunali”.
“Altra causa addebitata alla magistratura – spiega Scati- sono le decisioni difformi, che generano sconcerto nell’opinione pubblica: un’informazione corretta dovrebbe spiegare che è la piena dialettica processuale. Leggo poi sui giornali che lo spacciatore è stato arrestato dopo appostamenti e inseguimenti, e il giudice il giorno dopo lo libera. Il cittadino dubita quindi della magistratura, ma guardando le norme si scopre che il magistrato ha applicato la legge, che prevede che per il piccolo spaccio non ci sia la custodia cautelare”.
Argomento su cui Scati si pronuncia è poi la separazione delle carriere tra magistrati giudicanti e requirenti. “La questione a mio avviso è stata drammatizzata da alcune frange dell’avvocatura: negli ultimi 3 anni su 9 mila magistrati ci sono stati 80 passaggi da pm a giudice e 41 da giudice a pm, non è un fenomeno preoccupante”. Di questa prospettiva evidenzia poi una criticità: “Tutti gli stati europei in cui vi è la separazione delle carriere il pm è alle dipendenze del Governo, solo in Portogallo vi sono due Csm separati. Qual è il rischio di un pm alle dipendenze del governo? Porterebbe davanti al giudice solo i processi avallati dall’esecutivo, come avveniva all’epoca del fascismo, in cui il ministro della Giustizia invitava i procuratori a perseguire reati commessi da avversari politici e ad archiviare quelli di persone vicine al regime”.
Altra questione che secondo Scati rimane attuale è la responsabilità dei magistrati, che era oggetto di un referendum non ammesso dalla Corte Costituzionale ma sulla quale insistono altre proposte di legge. “Il magistrato non ha un cliente – spiega il giurista-, ha due parti e deve dare torto ad almeno una, non può valere l’equazione del chi sbaglia paga”. Con la responsabilità diretta, la conseguenza, secondo Scati, sarebbe che “il magistrato si sentirebbe intimidito e tra potere forte e debole darebbe ragione a quello forte, perché con una schiera di avvocati potrebbe citarlo in giudizio”.
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