GLOBUSMAGAZINE.IT 11-05-2022

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Elisir d'amore tra biciclette e melodie al teatro Bellini di CataniaGLOBUS Magazine

Elisir d’amore tra biciclette e melodie al teatro Bellini di Catania
di Francesco Giordano |
11/05/2022
La Bella voce del soprano russo Irina Dubrovskaya ha garantito il successo dell'opera di Donizetti con una regia inutilmente modernista - Gaetano Donizetti, quel folle bergamasco il cui Maestro fu l'anima ribelle e illuminata di Giovanni Simone Mayr, amava Bellini.
Lo amava e lo assorbiva tanto quanto il nostro biondo dagli occhi chiari, aveva Donizetti in uggìa. Il buon Gaetano fu il primo a criticare i milanesi bamboleggianti, o meglio la clacque dietro le gonne svolazzanti della Contessa di Samyoloff la quale, dopo gli amplessi col catanese non ripetuti, fu ben lieta di amoreggiare col toscano (a Catania nato per errore) Giovanni Pacini e vendicarsi di chissà quale dispetto di alcova ricevuto da Vincenzo che era uomo da non rimanere indietro in certi campi, facendo fischiare la prima di Norma in quell'inverno del 1831 alla Scala. Mentre Donizetti affermò che "essi si ricrederanno", estasiato dalla musica belliniana. Perché agganciare questo aneddoto di pochi mesi precedenti la prima di Elisir d'Amore, sempre a Milano 12 maggio 1832, con la versione data la sera del 10 maggio al Bellini di Catania? Poiché riascoltando per l'ennesima volta, dagli ottimi orchestrali del nostro teatro, le note donizettiane, pur intrise di quell'aura bandistica (ivi il nostro abbonda negli ottoni, tamburi ecc) le riminiscenze belliniane che risuonarono all'orecchio del Donizetti nel musicare in pochissimi giorni, dopo la traduzione letterale da parte dell'onnipresente Felice Romani, del testo de "Le Philtre" dello Scribe già un successo a Parigi, ad orecchie "drogate" di musicofilìa, emergono e non poco.
Diciamo, ascoltando la musica. Ma Elisir è opera corale, "melodramma giocoso in due atti" e potrebbe dirsi anche opera di vendetta e di espiazione: Adina che tormenta -si, lo dice, "io lo tormento per vendicarmi"- il povero Nemorino e poi, quando lui illuso dal vino dell'imbonitore Dulcamara, diventa "il gallo della Checcha che tutte becca", ci ripensa si pente e lo salva dal crudele destino militare ( la guerra era disgustosa anche allora, come sempre) e lo vuole al fine con sé. Ma prima gli ha sbrindellato il còre rendendolo zimbello di se medesimo. Opera crudele e illusoria, dell'amor perduto e ritrovato e -ci ha spiegato nel XX secolo il dottor Carl Gustaf Jung- sincronica della visione mentale del sentimento, il quale è ciò che la nostra mente vuole che sia, come lo "specifico" di Dulcamara alla fine diventa elisir d'amore di una chissà chi sia regina Isotta, autoconvincendosi dell'efficacia. E' un paradigma delle relazioni. Adina donizettiana ben adatta ad ogni epoca: per questo l'opera piacque pur nella leggerezza del testo che dice cose sempiterne e piace ancora, è tra le più rappresentate.
Giungiamo alla versione catinense, regia di Antonio Calenda, direttore Tiziano Severini. Il primo ha scambiato il villaggio basco per l'Italietta del dopo guerra, miscelando parecchie biciclette (chissà perché poi tutte al femminile, con la canna centrale maschile no eh!) e una motoape stile Ischia operazione amore: che non è che abbia fatto ridere o sorridere il numeroso pubblico convenuto (teatro pieno circa il settanta per cento). Siamo stufi di queste regie moderne pur se si è visto di peggio, dal porno alle violenze: passi per l'ammiccamento dellEtna nel trasparente sullo sfondo, ma fare dire a Dulcamara che è "catanese" o che da le "scoppole" non fa solo rivoltare nella tomba il povero Romani: come catanesi da almeno sette generazioni, non accettiamo che altri venga a criticare a casa nostra. Abbiamo appreso che tale modifica fu spiegata invece come un "omaggio": prendiamola per buona. E satis est. Viènci in mente una brillante versione in quel caso ben curata registicamente da Simone Alaimo, di Elisir, data nell'estate 2016 a Linguaglossa, unitamente al Barbiere di Siviglia cantata nello stesso contesto. Che l'Essere Supremo protegga il teatro!
Nulla da eccepire al Direttore, attinente allo sparito anche se, nell'aria celeberrima "una furtiva lagrima", ha seguito l'estensione eccessivamente ampia del tenore Mario Rojas, che ha colto la magia del momento per allargarlo davvero troppo. Gli applausi del pubblico si conquistano in altri modi. Rojas per il resto ha svolto bene il suo ruolo da tenore leggero in versione registica meccanico di biciclette. Così bravo il baritono con toni da basso Francesco Vultaggio nella parte di Dulcamara; plauso a Clemente Antonio Daliotti (Belcore) e a Paola Francesca Natale (Giannetta). Elisir catanese è stato però retto dalla ottima, davvero piacevole per scala tonale e abilità sia vocale che scenica, voce del soprano russo Irina Dubrovskaya: interprete donizettiana belliniana e verdiana, la Dubrovskaya ha con ampia padronanza saputo rendere in perfetto stile donizettiano il ruolo di Adina, non semplice se non si ha una lunga conoscenza delle rappresentazioni che ella ha maturato tra Mosca, Venezia e altri teatri. Se non vi fosse stata lei nel primo cast (nel secondo chi andrà potrà udire la voce di Manuela Cucuccio) la serata avrebbe avuto a stento sufficiente rendimento, mentre alla fine , i quasi otto minuti di applausi (sia il nostro pubblico, in un consolidato malvezzo nazionale, che gli altri, purtroppo non arrivano più neanche al decimo minuto e vanno via... forse se resuscitasse la Tebaldi o Tito Schipa rimarrebbero, ma si dovrebbe spiegare a molti chi erano... detto tristemente!) sono stati quasi tutti per il suo distinto ruolo. Come sempre un ampio plauso al Coro del Bellini, che ha reso con estrema naturalezza le masse sceniche dell'opera. Sorvoliamo per affetto sulle discrepanze che, dati i tempi di austerità guerresche, notasi nella gestione dell'Ente, più di altri sottoposto di là dalle volontà dei gestori, al sostantivo di genere femminile (sempre le donne...) attualmente alla moda: restrizione.
Infine quelle che un tempo erano le note mondane, per noi sempre rilevanti: contammo solo sette (incluso chi scrive) uomini con la cravatta a farfalla, altrimenti detta papillon (nera rossa azzurra i colori predominanti) tra cui l'illustre Professore di Storia della Musica Giuseppe Montemagno, l'amabilissimo Sovrintendente del Bellini Giovanni Cultrera di Montesano, l'impresario teatrale Marco Impallomeni, il collega Vincenzo Barone di CataniaVip, un giovine del Leo club e altro ignoto. Sette o più può anche bastare come magia simbolica, dati i tempi. Qualche donna in pelliccia leggera e nulla più, pochi gli abiti femminili da notare. Era presente la Delegazione di Sicilia e Malta della Real Casa di Epiro, esponenti dei Lions club e della Legione Garibaldina di Sicilia. Tra i presenti il tenore Riccardo Palazzo, la collega Michela Italia, l'artista di trucco e parrucco Alfredo Danese e altri.
"Viva il grande Dulcamara,dei dottori la fenice!" conclude il Coro alla fine dell'opera. E in questa illusione sembra quasi di udire, pochi decenni dopo, le note di Francesco Paolo Tosti: "Chiusi gli occhi, ti stesi le braccia...Ma, sognavo...E il bel sogno svanì (Sogno). E noi al silenzio, scegliamo l'adagio del pittore Alessandro Abate: amare le cose belle, sempre!
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