CORRIERESALENTINO.IT 09-06-2022

Sezione: WEB
Intervista Al Professor Razzante, Dalle “web-fake” All'equo Compenso Di Google Per Il Giornalismo Online, Dall'equivoco Del Diritto All'oblio Alle Querele Temerarie

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MILANO – Il professor Ruben Razzante, Docente di Diritto dell’informazione all’Università Cattolica di Milano, autore del “Manuale di diritto dell’informazione e della comunicazione” (ed.Cedam-Wolters Kluwer), giunto alla nona edizione, componente dell’Unità di monitoraggio contro la disinformazione sul Covid istituita da Palazzo Chigi, in questi tempi difficili per il giornalismo, può aiutarci a chiarire tutta una serie di aspetti che un legislatore qualche volta “atrofico” non riesce a risolvere, dal diritto all’obblio a tutti i problemi derivanti dalla “giungla del web”. La professione giornalistica continua a vivere un pericoloso momento di crisi, come tanti altri settori: c’è bisogno di tutelare il pilastro di ogni democrazia (dove è necessario garantire un’informazione di qualità e non manipolata). Il professor Razzante è un punto di riferimento per gli studiosi del diritto all’informazione e si è occupato in modo particolare negli ultimi due anni di circolazione di fake news nel web e sui social: lo abbiamo intervistato per affrontare molti dei temi caldi dell’informazione locale e nazionale.
Professore, Lei è già in tour per presentare la nona edizione del “Manuale di diritto dell’informazione e della comunicazione. I media nell’era digitale e le nuove tutele della persona”. Lei continua ad essere un punto di riferimento per gli studiosi del diritto all’informazione e per gli addetti ai lavori. Quali sono le novità di questo volume? 
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«La progressiva digitalizzazione delle nostre vite ha reso le regole del mondo digitale, in continua evoluzione, una vera e propria priorità. Siamo tutti coinvolti e l’aggiornamento del quadro regolatorio nell’ambito della Rete ci riguarda tutti da vicino: soltanto gli strumenti del diritto dell’informazione possono infatti contribuire in modo decisivo alla realizzazione di un ecosistema digitale più inclusivo e meno tossico, fondato sulla corresponsabilità di tutti gli attori. Questa nona edizione si pone l’obiettivo di raccontare e documentare questa evoluzione, ad uso e consumo non solo degli addetti ai lavori ma di tutti gli utenti della Rete».
In questi anni il Parlamento è stato al passo con i tempi nell’aggiornare la materia del diritto all’informazione? Non crede che sia necessario un codice del web che aggiorni e regoli la materia in modo organico, soprattutto per quanto riguarda il giornalismo sulla rete? 
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«Nonostante gli sforzi del legislatore europeo e dei singoli legislatori nazionali, tra cui il nostro, il web continua a riservare insidie per i diritti individuali. La pandemia ha prodotto un imprevisto sconvolgimento delle nostre vite, anche perché ha cambiato il nostro rapporto con le tecnologie. Milioni di italiani, a causa dei lockdown e delle quarantene, hanno dovuto convertirsi al pc, alle mail, ai social, alla didattica a distanza, allo smart working, ai pagamenti digitali e questa necessità ha impresso una vistosa accelerazione alla digitalizzazione dei processi e delle funzioni. Il diritto dell’informazione ha cercato di disciplinare queste trasformazioni per assicurare un equilibrio tra rischi e opportunità, tra diritti e doveri. È uno sforzo ancora in corso e che si proietta nel futuro, grazie all’apporto di diversi elementi: le normative, la giurisprudenza, i codici deontologici, le elaborazioni dottrinali. In questo senso, mattoncino dopo mattoncino, si sta creando un “codice del web”. La cultura digitale è tutto questo e nel Manuale, come detto, ho cercato di raccontare e documentare questa evoluzione, ad uso e consumo non solo degli addetti ai lavori ma di tutti gli utenti della Rete».
I motori di ricerca come Google continuano a trarre vantaggi enormi dal giornalismo online pagando pochissimo (generalmente dando un contributo basato sulla pubblicità inserita automaticamente sui siti): c’è la necessità di imporre un contributo più serio per questi colossi che prendono molto più di quello che ricevono? 
«Per anni i giganti della Rete come Google hanno tratto enorme vantaggio dall’indicizzazione dei contenuti editoriali. Già da tempo, però, manifestano una matura disponibilità a confrontarsi con gli attori della filiera di produzione e distribuzione delle notizie, per individuare meccanismi di corresponsabilità, anche sul piano dei costi. La nuova direttiva europea in materia di copyright, recepita anche in Italia, muove proprio nella direzione del riconoscimento di questo meccanismo: i colossi del web devono versare nelle casse degli editori un equo compenso per quei contenuti prodotti dalle aziende editoriali e condivisi sulle piattaforme online. Sull’entità di questo equo compenso sta lavorando l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che dovrà emanare presto un Regolamento in grado di fissare criteri e parametri. Poi è evidente che gli editori dovranno reinvestire nel lavoro giornalistico queste somme, altrimenti il giornalismo online di natura professionale resterà poco valorizzato e si confonderà con la produzione dilettantesca di notizie da parte di avventurieri non giornalisti».
Perché il Parlamento non si sforza di rendere meno complicata la vita dei giornalisti (con i giovani sempre più precari), che ancora subiscono la pressione delle “denunce temerarie” e sono costretti a pagarsi gli avvocati anche quando tutto viene archiviato? Siamo di fronte a un legislatore poco attento o in malafede?
«Il dibattito sulle querele temerarie è a buon punto. Purtroppo le urgenze di altra natura hanno prodotto uno slittamento delle decisioni su questo fronte, ma io sono convinto che nella prossima legislatura si arriverà a un punto di caduta più ragionevole sulla questione querele temerarie. Il legislatore dovrà garantire ai giornalisti maggiore libertà di fare inchieste e di recuperare, al di fuori dei circuiti ufficiali, notizie di innegabile interesse pubblico. Le minacce di quanti vengono “presi con le mani nella marmellata” non deve spegnere nelle nuove leve del giornalismo il “sacro fuoco” della ricerca della verità, inseguita applicando correttamente gli strumenti della deontologia professionale».
Dopo alcune importanti sentenze europee e nazionali sul diritto all’oblio, le redazioni dei giornali, soprattutto nel web, non hanno avuto più pace, subissate da richieste di cancellazione degli articoli quasi estorsive e infondate. In tanti hanno danneggiato i propri archivi per non pagare un avvocato. Sono stati cancellati pezzi che riguardano episodi di cronaca ancora attuali. Il ricatto economico e la necessità di evitare la dispersione di risorse per pagare un legale (anche quando si ha palesemente ragione) sta mettendo in ginocchio il giornalismo locale. Possiamo fare chiarezza su questo argomento? 
«Il riconoscimento del diritto all’oblio rimane materia controversa, soprattutto per le redazioni giornalistiche. Le intimidazioni ai danni dei giornalisti, ai quali viene chiesto in modo pressante di rimuovere contenuti di cronaca anche recente, vanno combattute con fermezza. Gli archivi online delle testate devono preservare la memoria storica degli avvenimenti di interesse pubblico e non creare vuoti nella ricostruzione di quei fatti. Sono solo tenuti ad aggiornare le notizie fino alla loro ultima evoluzione e a valutare, ma solo in casi estremi, se possa valere la pena di rendere più difficilmente reperibile un contenuto datato o privo di rilevanza. La rimozione delle notizie dagli archivi delle redazioni è un vulnus alla democrazia dell’informazione e non è mai dovuto, se non in casi eccezionali e rarissimi».
Come va la battaglia contro le fake news che proliferano in rete? Siamo riusciti a difenderci in maniera efficace? Abbiamo l’antidoto giusto? Sono necessarie leggi più incisive? 
«Durante il Covid, è esplosa la cosiddetta infodemia. La circolazione virale di contenuti non vagliati, non verificati e di dubbia autenticità, oltre che generare confusione nell’opinione pubblica e contribuire a rendere più complesso il coordinamento delle azioni di contrasto al virus, ha prodotto comportamenti sbagliati rispetto alle misure di contenimento e distanziamento dettate dalle istituzioni a protezione della salute collettiva. L’Unità di monitoraggio istituita dal governo Conte 2 e della quale ho fatto parte ha prodotto un documento che indicava alcune possibili soluzioni, come la creazione di un hub unico che desse risposte univoche e chiare a tutte le domande più frequenti che i cittadini si ponevano durante le fasi più drammatiche della pandemia. Questa e altre nostre idee, ad esempio la condivisione di linguaggi e messaggi tra i comunicatori istituzionali che a vario titolo si occupavano della diffusione di notizie di pubblica utilità, non sono state prese in considerazione dal precedente governo. Un po’ di rammarico c’è, perché il nostro apporto di studiosi e tecnici, assicurato in forma del tutto gratuita e per spirito di servizio, pur apprezzato a parole, non è stato utilizzato sul piano pratico. Ritengo che l’autocontrollo possa giovare più di tante altre velleitarie azioni ufficiali di fact checking: ciascuno di noi, prima di contribuire alla diffusione di notizie delle quali non conosce la provenienza e non è in grado di appurare l’attendibilità, sospenda il giudizio e compia delle verifiche. Anche così si combattono le fake news. L’Unione europea nel settembre 2018 ha prodotto un codice di autoregolamentazione contro la disinformazione, che è stato sottoscritto da tutti i colossi del web, chiamati a rimuovere tempestivamente su segnalazione i contenuti falsi e fuorvianti. Questo codice è stato rinnovato e potenziato l’anno scorso. Dunque a Bruxelles, anziché fare una legge vera e propria contro le fake news, si è scelta la strada del cosiddetto diritto morbido, quello dei codici deontologici, che sta stimolando l’autoregolamentazione degli addetti ai lavori e delle piattaforme di condivisione. Va peraltro detto che nei singoli ordinamenti giuridici nazionali esistono già norme precise che puniscono la produzione e diffusione di notizie false. Pensiamo al procurato allarme o alle notizie che turbano l’ordine pubblico o alla diffamazione. A causa della guerra russo-ucraina, l’Unione europea sta peraltro pensando di rafforzare ulteriormente quel codice».
L’ultimo intervento legislativo per controllare le notizie di cronaca giudiziaria ha fatto indignare Assostampa. C’è stata una cattiva interpretazione della norma all’inizio, che ha bloccato la comunicazione di denunce e arresti da parte delle forze dell’ordine. Lei cosa ne pensa? Era necessario questo intervento per tutelare l’indagato da processi mediatici?
«Anche in questo ambito occorre equilibrio. La riforma Cartabia punta a combattere i processi mediatici e gli eccessi di giustizialismo che trasformano in colpevole anche un indagato o un rinviato a giudizio e a preservare la presunzione di innocenza nel quotidiano esercizio del diritto di cronaca. Non è detto, però, che la soluzione individuata freni il cosiddetto “mercato nero” delle notizie. Il decreto n.188/2021 attribuisce ai dirigenti delle Procure la responsabilità di valutare l’interesse pubblico alla divulgazione di un fatto giudiziario, con il rischio che essi vengano tacciati di essere faziosi e di perseguire finalità di natura politica. Non credo sia stata una buona idea quella di imbalsamare la discrezionalità dei giornalisti, che in realtà dovrebbero essere chiamati a valutare di volta in volta la pertinenza delle informazioni raccolte e la loro utilità sociale nel rispetto del principio di essenzialità della notizia e che invece vengono messi un po’ da parte da questa innovazione legislativa. Si rischia di passare da un eccesso di mediatizzazione delle vicende a un bavaglio alla cronaca giudiziaria».
Tra i problemi emersi nell’era del web c’è quello del copyright: pullulano i siti senza giornalisti che fanno il copia e incolla. È un problema risolvibile? 
«Con un patto tra editori, produttori di contenuti professionali e colossi del web, la sfida può essere vinta. Occorre che i prodotti giornalistici di qualità vengano resi più facilmente reperibili attraverso i motori di ricerca. Questo comporterebbe l’automatica marginalizzazione dei contenuti di dubbia autenticità o privi di spessore e di attendibilità. Il copia e incolla è assai diffuso perché nell’oceano della rete tutto si annacqua e i controlli sono problematici. Bisogna insistere sulla diffusione della cultura della Rete, che vuol dire promozione delle responsabilità e condivisione degli sforzi per combattere reati, soprusi e abusi».
Per superare la questione del precariato giornalistico, che sta ledendo anche la qualità dell’informazione, si può trovare un modo per imporre alle testate assunzioni dignitose evitando le “collaborazioni a buon mercato”?
«Nel novembre 2011 l’Ordine nazionale dei giornalisti e la Federazione nazionale della stampa italiana hanno firmato la Carta di Firenze, che ha aperto la strada all’emanazione della legge n.233 del 2012 sull’equo compenso. Se questa legge non viene fatta rispettare il problema non si risolve. Bisogna iniziare ad accendere i riflettori sui giornalisti che tollerano lo sfruttamento dei collaboratori esterni e non fanno nulla affinché gli editori siano più generosi con loro. Inoltre, come già detto, occorre coinvolgere i colossi del web affinché investano più risorse nell’informazione di qualità. In questo modo ci sarebbero più risorse anche per i freelance».
Quali sono le tappe di presentazione del suo libro? Immancabile anche la tappa salentina, vero? 
«Nel mese di maggio c’è stata la più importante presentazione, quella milanese. È venuto da Roma per presentare il volume il Presidente dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, Giacomo Lasorella, che ha avuto parole di grande apprezzamento per il mio Manuale, sottolineando di aver letto anche le precedenti edizioni. A coordinare il dibattito con lui c’era Giancarlo Leone, presidente dell’Associazione produttori audiovisivi e profondo conoscitore del mondo dei media. Alcuni Ordini degli avvocati hanno promosso presentazioni riservate ai loro iscritti, con riconoscimento di crediti formativi. Mi riferisco a quelli di Parma, Milano, Matera. Martedì 14 giugno a Roma il mio Manuale verrà presentato presso lo studio legale Curtis dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, senatore Giuseppe Moles, dal Presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti, Carlo Bartoli e dal capo affari istituzionali di Google Italia, Diego Ciulli. Parleremo di fake news e qualità dell’informazione. Giovedì 16 giugno a Lecce, all’Hotel Tiziano, sarò ospite del lions club Tito Schipa, che ha promosso un evento di presentazione del mio Manuale invitando tra i relatori l’editore televisivo Paolo Pagliaro. Altre presentazioni sono previste a Cortina, in Costa Smeralda e a Bari. Con l’editore e il mio staff ci stiamo organizzando affinchè ogni evento, al di là della soddisfazione per il crescente interesse nei confronti del volume, possa servire per approfondire temi di stringente attualità dai quali non dipende solo il futuro dell’informazione, ma anche la crescita della nostra democrazia».
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