ARENA 09-07-2022

Sezione: STAMPA NAZIONALE
«La nostra fuga dalla guerra sotto le bombe»
Autore: Joppi Stefano

BARDOLINO II ra cconto dei profughi in occasione della consegna del Diario della polizia ai ragazzini da parte degli allievi e del direttore Trevisi della scuola di Peschiera
«La nostra fuga dalla guerra sotto le bombe»
La loro città, Zhytomyr, era bombardata da giorni perché sede di diverse caserme ucraine. Ora vorrebbero tornare a casa
«Hanno percorso 500 chilometri per arrivare sul suolo polacco e da Cracovia sono partiti per il lago»
Stefano Joppi
•• «La notte prima di partire, abbiamo trovato rifugio nel bosco per evitare le bombe. Poi siamo riusciti a oltrepassare il confine e a lasciare la guerra alle nostre spalle ma è stata dura e abbiamo avuto molta paura». Uno dei sedici ucraini alloggiati a Bardolino dai primi di marzo racconta così la fuga dal paese in guerra, avvenuto quattro mesi fa. Lo fa in occasione della consegna di alcune copie del diario, edito dalla Polizia. A Roma per un corso di aggiornamento, Gianpaolo Trevisi, direttore della Scuola allievi e agenti della Polizia di Peschiera del Garda, ha ricevuto il regalo alcune copie del diario scolastico edito dalla polizia. Una volta rientrato a Verona, ha pensato di donarli anche ai ragazzini ucraini ospitati a Cisano, nella struttura vista a lago a fianco della Pieve. Qui dai primi di marzo sono alloggiate sedici persone, la più «anziana» ha meno di 47 primavere gli altri sono nati dopo il Duemila, fuggite dalla città di Zhytomyr, centro a circa 150 chilometri a nord della capitale di Kiev, vicino alla Bielorussia. Sono assistiti dai volontari dell'associazione «Cavaion nel mondo».
Si tratta di una città strategica sede di diverse caserme di soldati ucraini rimasta per
quattro giorni sotto i bombardamenti. Il gruppo composto da tre nuclei distinti, cinque fratelli, una mamma e i suoi tre figli, una ragazza e altri due fratelli, ha trovato la via di fuga passando da Krakovets al confine con la Polonia. Hanno percorso quasi cinquecento chilometri per arrivare sul suolo polacco dove hanno trovato ristoro a Cracovia e da qui il viaggio per Bardolino, organizzato dai volontari veronesi.
La fuga «La notte prima di partire avevano trovato rifugio nel bosco», conferma Fabrizio Banterla dell'associazione «Cavaion nel Mondo» «e i bambini hanno dovuto lasciare a casa tutti i loro giocattoli, i loro amici di sempre, la scuola nel giro di pochi minuti. Erano da quattro giorni sotto le bombe, arrivavano missili a tutte le ore. Una cosa folle». Il gruppo che ha seguito passo a passo l'arrivo in Italia e continua a sostenere, grazie anche all'aiuto dell'emporio 12 ceste, dei Lions, del Comune di Bardolino e donazioni private, il nutrito gruppo di rifugiati tutti molto giovani e ben integrati nella Comunità locale. L'asse tra Verona e gli ucraini è nato dalla scuola che si trova a Zhytomyr. «È l'unico istituto», spiega ancora Banterla, «che accoglie i disabili in quella città e noi abbiamo svolto dei lavoro in quell'istituto come la rampa per i non deambulanti o la scuola per la logopedia». E
ancora: «È una scuola cattolica, si chiama Svesvit ed è supportata dall'ex vescovo di Reggio Emilia».
Contatti Ci sono anche i papà in due nuclei famigliari ora ospitati a Bardolino: «Uno di loro ha sei figli e quindi, gli è stato permesso di seguire la famiglia in Italia mentre l'altro ha un bimbo con dei problemi». Tutti i sedici ucraini sono in contatto con i loro famigliari in Ucraina: «Sono in contatto quotidiano con i loro parenti in Ucraina e con Internet sanno tutto del loro paese e cosa succede tutti i giorni». Tra volontari e profughi, però, c'è un patto non scritto: «Quando ci troviamo la sera a cena, non parliamo mai di guerra ma di altre questioni legate anche alla loro permanenza in Italia». I ragazzi si sono ben ambientati: «Una volta arrivati in Italia, sono andati a scuola e sono stati promossi», aggiunge con un pizzico d'orgoglio Fabrizio. E aggiunge: «I bimbi hanno imparato presto e bene l'italiano e poi anche i più grandicelli hanno preso sempre più dimestichezza con la nostra lingua». I più piccoli Mark e Iewa, entrambi di 10 anni, hanno pensato di dare il benvenuto con una scritta in gesso a terra poco prima della veranda d'ingresso all'abitazione a due piani. Poco distante Camilla, diciassette ucraina, in cucina prepara il caff'e e con viso dolce con un buon italiano ammette: «Qui stiamo tutti molto bene ma non vediamo l'ora di tornare a casa. A studiare in Ucraina». •

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Profughi Ragazzi e ragazze ucraini con gli agenti e il direttore Giampaolo Trevisi della Scuola di polizia
Tutti vogliono tomare in Ucraina
Solidarietà I profughi sono stati assistiti e seguiti dai volontari dell'associazione Cavaion nel mondo» FOTOPECORA

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