CORRIEREROMAGNA.IT 18-04-2023

Sezione: WEB
L'ex ispettore antimafia Giordano si racconta ai Lions Rubicone

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Emozionante serata sulla legalità con i ricordi toccanti di Pippo Giordano, ex ispettore di polizia impegnato a combattere la mafia a fianco di Paolo Borsellino e a tutto il pool antimafia. Ha organizzato un meeting a tema il Lions club del Rubicone presieduto da Fabrizio Magnani. L’incontro si è svolto nei giorni scorso in una serata al ristorante Villa delle Rose di Montalbano di Santarcangelo. Presente un folto pubblico, tra cui il sindaco di Bellaria, Filippo Giorgetti, il comandante della stazione carabinieri di Savignano, Salvatore Pagano, e autorità lionistiche.
Pippo Giordano, aveva già partecipato nei mesi scorsi, con Fiammetta Borsellino, figlia del giudice Paolo, a un incontro con le scuole di Savignano e Gatteo e poi al teatro Moderno di Savignano. Così l’ex ispettore della Direzione investigativa antimafia (Dia) ha raccontato come ha lavorato con i giudici Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Ninni Cassarà e Beppe Montana, tutti vittime della mafia. Ha operato in prima linea nella lotta contro la mafia nei momenti più duri e sanguinosi della storia recente del Paese. «Sono di Palermo – ha premesso Giordano – negli anni ’80 c’è stato il periodo più brutto della mia città. Sono 15 anni che vado nelle scuole d’Italia a far conoscere la violenza mafiosa. I ragazzi hanno bisogno di testimonianze. Ora che sono in pensione, metto a disposizione le mie memorie per contribuire a ricostruire uno Stato fondato sulla legalità».
Visto che Giordano non voleva ripetere le stesse cose dette qualche mese prima a Savignano ha chiesto ai presenti di fare loro delle domande. E i presenti hanno posto domande a raffica, dall’agenda rossa sparita del giudice Borsellino ai continui depistaggi nei processi, dalla cattura di Messina Denaro a se lo Stato abbia abbandonato i giudici al loro destino. E poi sui nuovi modi della mafia: «Fino a quando ho operato le donne nella mafia non hanno mai ricoperto ruoli, dovevano solo crescere i figli dei mafiosi. Oggi forse non è più così». Alla domanda se aveva paura in quegli anni ha risposto semplicemente: «certo che avevamo paura, nel pool però ci scherzavamo sopra e si andava avanti. Per un certo periodo poi per minacce velate io venni trasferito a Forlì».
Su quale fosse il maggior rimpianto: «Non aver salvato Giuseppe Di Matteo (1981-1996) il figlio 14enne del pentito e collaboratore di giustizia Santino Di Matteo, che di fronte al suo rapimento non ha ritrattato le sue dichiarazioni ai magistrati. I carcerieri del bimbo, pochi giorni prima che compisse quindici anni, lo strangolarono e poi lo sciolsero nell’acido, dopo 780 giorni di disumana prigionia». «Ma anche altri omicidi della mafia urlano vendetta al cielo, dalle vittime uccise per incaprettamento, dove le corde spezzano i tendini, alcuni uccisi e dati in pasto agli animali e in un caso anche mangiati da persone. Quando prendevamo queste belve e gli chiedevamo: ma come fate a fare queste cose orrende? Ci rispondevano senza emozioni che “È il mio lavoro”».
Sulla fine di Borsellino: «Il giudice sapeva che era rimasto solo e chi lo aveva tradito stava a Roma». Sui giovani: «Ho incontrato 40 mila giovani tra Italia e Francia: a tutti ho sempre detto di acquisire la conoscenza. Di non percorrere mai scorciatoie nella vita e camminare con la schiena diritta».
Agli applausi finali Giordano ha replicato: «Non mi sento un eroe, ho fatto solo il mio dovere assieme ai miei colleghi, i blitz si fanno assieme».
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